Ph. Luigi Fieni.
> Gallery fotografica ‘Giardamanti in viaggio: Alhambra’ by Luigi Fieni
Io sono Alhambra: il giardino. E i Giardamanti sono il mio amore
Alhambra. Inverno 2017
.
Non dormo. Sono sempre sveglio.
L’aurora in Andalusia è dolce.
Il colore dell’aurora, blu petrolio lucente, nasce dal bianco della neve della Sierra Nevada che riflette la notte del cielo. Scuro e freddo.
Non mi riposo perché il tempo non esiste per me.
Sono l’Alhambra, il palazzo, il giardino, lo spazio dell’anima di Granada.
“Entra mostrando saggezza, esprimi le tue conoscenze, sii di poche parole e congedati in pace” hanno inciso nel mio nome. Negli stucchi delle gallerie. Nelle tessere dei mosaici, in ogni singolo balzo d’acqua o dolce zampillo.
Resto fermo a guardare le persone entrare e passare andando via. Resto immobile da lungo tempo. La fontana dei leoni scorre.
I turisti parlano piano e il cielo, la luce urlano tutto il freddo e la bellezza dell’Andalusia.
La mia casa.
La terra dove il cielo incontra la terra e la forza del vento. Dove la luce dell’alba bagna ogni mia singola pietra e dove l’acqua illumina ogni stanza con il suo canto e il suo moto.
L’acqua non è mai ferma qui. La luce invece è immobile. Il mio palazzo è forza degli uomini. Il mio giardino è forza del cosmo che viene relegato dagli uomini nella storia della mia terra.
Dove il governo della luce e del vuoto sono stati cifra e sentimento dell’uomo nei miei confronti.
Uomini che mi hanno tagliato, umiliato ed infine coltivato e bagnato per compiersi.
Cara mi è la storia del mondo. La storia degli uomini mi è cara.
Mi hanno tagliato, umiliato ed infine coltivato e bagnato fino a rendermi sacro.
Sacro per il sangue caduto sulla mia pietra. Sacro per il sudore e lo sputo che mi hanno reso fecondo. Mi hanno tagliato in ogni mia singola pietra. Mi hanno tagliato la pietra e la terra per rendermi sacro.
Sono stato umiliato, domato come i cavalli della piana centrale andalusa. Tagliato e domato piegandomi al potere. Tagliato e piegato come prova di forza del potere.
Tagliato e domato con forza e determinazione. Con violenza delle volte, e delle altre lentamente. Una tortura lenta. Tagli piccoli e numerosi, quotidiani per rendere la mia terra ed il mio cuore immortale. Immortale agli uomini che dipendono da cibo, da affetto e di anima.
Mi hanno tagliato, umiliato ed infine coltivato e bagnato fino a rendermi sacro.
La mia coltura è stata lenta. La mia cultura è stata lenta ma non del tempo degli uomini che di storia non ne hanno. La mia preparazione è stata eterna perché da sempre io c’ero. Da prima che gli uomini ci fossero, da prima che le mie acque fossero incanalate, la mia cultura era iniziata. La mia cura inizia quando il cielo si stacca dalla terra per far spazio alla luce. La mia coltivazione è iniziata con la spada prima che con l’aratro. Il sangue mi ha bagnato prima dell’acqua. Le lacrime hanno colmato gli occhi delle mie fontane prima che l’acqua iniziasse a zampillare.
Mi hanno tagliato, umiliato ed infine coltivato e bagnato fino a rendermi sacro.
Mi hanno coltivato e bagnato per rendermi fecondo, per rendermi madre e padre di questa terra, della gente e del giardino. Coltivato per essere padre degli uomini e coltivato perché gli uomini potessero diventare giardinieri, per essere adulti.
Mi hanno tagliato, umiliato ed infine coltivato e bagnato fino a rendermi sacro. Un giardino sacro. Il Sacro Giardino dove gli uomini potessero compiersi.
Dove gli uomini potessero diventare giardinieri e quindi liberi. Sacro perché lo spirito del loro cuore avesse uno spazio. Sono stato reso sacro agli uomini. Non dal loro lavoro, non dalla forza delle loro braccia e dalla sapienza delle loro mani.
Le loro mani. Piccole mani che si muovono veloci per tagliare. Ma non sanno fare gli uomini. Non sanno tagliare e bagnare. Non tagliano e bagnano come il vento e l’acqua sanno fare. Fanno veloci gli uomini, ma è l’acqua lenta e il vento forte che possono cambiare il mio corpo la mia forma.
Mi hanno tagliato e mentre tagliavano piangevano, imprecavano e pregavano: chiedevano agli uomini e a Dio che la mia pietra diventasse eterna, sacra e che loro fossero liberi.
Altri uomini sono stati qui. Hanno passato dei giorni, hanno vissuto una vita in queste mura. Servi e servitori del potere. Asserviti al potere e vuoti. Stupidi di potere o da mancanza di potere e vuoti.
Cosa sarà degli uomini che non coltivano il loro giardino interiore?
Cosa sarà del loro spirito se non sanno prendersi cura di me?
I Giardamanti sono venuti questa mattina.
Li ho sentiti da lontano.
Dalla Russia e dall’Italia, dalla Germania e dalla Spagna sono venuti.
Me lo aveva detto Moises quando è venuto a trovarmi. Me lo ha confidato dalla cima della torre dove le bandiere sbattono scosse dal vento. Dove il cielo, la luce urlano tutto il freddo e la bellezza dell’Andalusia. Del giardino vogliono sapere.
I Giardamanti li ha chiamati Fernando che conosce la mia terra. Che sa chi mi ha tagliato, come mi hanno umiliato e il perché mi hanno coltivato gli uomini.
Fernando conosce come mi hanno bagnato con il sangue e l’acqua, con le lacrime e lo sputo fino a rendermi sacro agli uomini.
I Giardamanti mi ha portato Fernando, che sono amici per passione.
Che sono corpo di giardinieri che vogliono diventare uomini. Come i cavalieri e i loro cavalli da guerra che hanno picchiato la mia terra, la mia pietra con i loro zoccoli, con i passi di ferro.
Giardamanti che cercano il bello perché è di bello che sono fatti. Fatti per vedere dietro le foglie delle mie piante. Fatti per ascoltare l’acqua del mio giardino e per bagnare i loro occhi della luce entrata nel mondo quando il cielo si è staccato dalla mia terra.
Anche Moises ha conosciuto Fernando questa mattina.
Si sono conosciuti al Generalife dove l’amore è di casa.
Si sono conosciuti e sono subito diventati Giardamanti della mia terra e del mio giardino.
Come se si fossero riconosciuti. Come se avessero visto, l’uno negli occhi dell’altro, la stessa luce. Hanno riconosciuto, l’uno negli occhi dell’altro, lo stesso motivo di amore. L’amore degli uomini che così come cercano l’affetto di una donna, così cercano la luce dell’anima negli occhi della gente che incontrano.
Sono venuti i Giardamanti.
Sono venuti e hanno visto i miei tagli. Hanno messo le loro dita dove la mia pietra è stata umiliata per rendermi sacro. Sono entrati i Giardamanti nei miei tagli.
Hanno camminato sulla mia pietra, entrando nel fondo del giardino per bagnare le loro menti della mia storia. Hanno guardato la mia cultura e la mia coltivazione senza capirla, delle volte. Non hanno visto il sangue fecondo e l’acqua giocosa che da sempre scorre dentro e sopra di me. Non hanno visto tutte le lacrime, i canti e i lamenti che da sempre mi accompagnano. Non hanno visto, ma hanno capito. Hanno capito il mio giardino. Hanno visto la sacralizzazione della terra attraverso la bellezza del mio spazio e il lavoro dell’uomo. Hanno lasciato confluire tra i miei tagli il loro spirito.
Ci sanno fare i Giardamanti con i giardini.
Sanno fermarsi a guardare la realtà. Sanno stare zitti per dare retta allo spirito del giardino che sono io.
Sanno cambiare passo quando entrano con le loro dita nei miei tagli e con i loro occhi nella mia luce. Sanno i Giardamanti il potere della bellezza. La bellezza che fa bene. Il Bello che è preghiera.
Hanno camminato sulla mia pietra. Hanno visto la mia terra bagnata dall’inverno andaluso.
Hanno sentito il freddo dell’aria e la forza della luce e hanno cambiato passo.
Alcuni di loro hanno guardato i dettagli, le singole pieghe, le nostre foglie.
Altri come Fernando si sono lasciati riempire gli occhi fino alla mente della mia natura.
Uno solo ha messo in dubbio la mia esistenza. Non si è lasciato andare.
Una Giardamante ha pianto dentro di me, sentendo tutta la sproporzione tra la sua pelle mortale e la mia pietra eterna.