Natura sensitiva e la malìa della mela

Testo di Eleonora Diana

“Il colore, come la bellezza, sta nel cervello di chi guarda”.
(da “La vita segreta dei semi”)

Questa è la storia di mutazioni genetiche e x-man, di una lotta all’ultimo sangue, di colori e del rosso, il più sexy fra tutti.
Questa è la storia di pomi dorati, di serpenti giganti e di dodici fatiche, la storia di un errore di traduzione, di Avalon e di druidi.
Questa è la storia della mela.

L’avveniristico caso della comparsa del rosso

La mela è così seducente: tonda, succosa, soda e sfavillante. Ci manca solo ci faccia l’occhiolino. Ma non sarebbe stata così sexy se non fosse stata anche rossa.
Esiste un momento storico in cui la mela e il suo colore entrano nella storia umana. Proprio allora inizia la sua carriera da sex symbol.
Bisogna tornare all’epoca dei dinosauri. Sì, proprio loro.
Tutto comincia quando i mammiferi conquistarono la terra.

Durante il Mesozoico, quando i dinosauri spadroneggiavano, i mammiferi erano insettivori notturni, la cui vista era tarata sulla loro dieta. Alla scomparsa dei rettili, i mammiferi invasero il giorno e il loro cibo cambiò: la frutta divenne così la portata principale.
La loro vista bicromatica, incapace di riconoscere i colori nella fascia intermedia dello spettro luminoso, come il verde e il rosso, era funzionale alla visione notturna (almeno così sembra dagli ultimi studi). In altre parole, non percepivano i due colori.
I rettili e gli uccelli (persino i pesciolini rossi!) avevano invece una vista quadricromatica, che permetteva loro di riconoscere gli ultravioletti. Con questi “super poteri” distinguevano molto meglio i piccoli frutti in mezzo alla vegetazione (come gli uccelli che vedono i mirtilli), mentre i nostri antenati non erano molto validi nel differenziare una mela tra le foglie. Che disdetta se la dieta è a base di frutta!
Ecco l’intervento della natura e la sua enorme creatività genetica: le femmine delle scimmie del Nuovo Mondo divennero portatrici di variazioni genetiche, tali da permettere una visione tricromatica che percepisse il blu, il verde e il rosso. Voilà… i frutti rossi e la nostra mela spiccano finalmente tra il fogliame.
Alla fine, in un processo molto complesso di errori cromosomici e nel DNA, i super poteri dei nostri avi permisero di innamorarci della nostra sex symbol.
A proposito di “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”, “Sembra che la dieta abbia giocato un ruolo nell’evoluzione della visione tricromatica in entrambi i gruppi di primati nei quali si è formata. Nel caso delle scimmie urlatrici, pare sia stata spinta dalla loro predilezione per le foglie novelle rosse; nei primati del Vecchio Mondo, dal fatto che si nutrivano di frutti”.1

La mela, frutto del desiderio

“Per gli antichi, i frutti erano doni degli dei”2, tanto da avere divinità dedicate alla supervisione della maturazione.
Il termine greco mēlon, da cui deriva malum e poi mela, era utilizzato per indicare tutti i frutti esotici che rassomigliavano alla mela. Mēlon kydōnion, cioè la mela cotogna, veniva da Kidōnia (Creta), Mēlon persikón era la pesca, originaria della Cina, ma scoperta dal Alessandro in Persia; il Mēlon armeniakón, l’albicocco, proveniente dalla Cina ma visto per la prima volta in Armenia, Mēlon kítrion era il limone e mēdicón il cedro.
Il melo si assurge a simbolo per eccellenza di questo ruolo. Diventa il frutto per antonomasia.
Quando a Eracle, tra le dodici fatiche, viene richiesto di impossessarsi dei pomi d’oro, gli viene in realtà richiesto di impossessarsi dell’immortalità e dei suoi portatori, i simbolici frutti tondi e succosi. Pendono maturi dal sacro melo di Era nel Giardino delle Esperidi, alle pendici del monte Atlante, dove i cavalli del sole terminano la corsa, luoghi che nessuno osava violare, protetti da Ladon, il drago, il grande serpente.

E così la mela incarna la conquista dell’immortalità o della conoscenza, aspetto che si evidenzia anche attraverso diverse leggende e miti.
Alessandro Magno, cercando “l’acqua della vita” in India, scopre pomi che allungherebbero l’esistenza dei suoi sacerdoti fino a 400 anni, come quelli della dea Idun nella mitologia germanica che fermano l’invecchiamento, mentre la mitica Avalon è detta “isola delle mele”.
Il melo è anche una delle epifanie della Grande Madre, rappresentata con in mano il frutto d’oro vinto da Afrodite nel celebre giudizio di Paride. Non è un caso che sia conquistato proprio dalla divinità maggiormente sessuata e seduttiva di tutto il pantheon greco. Tanto la dea rappresenta l’amore e l’attrazione fisica, ma anche la pletora di conseguenze nefaste di una tale attrazione (in buona parte dei miti l’amante della dea muore dopo l’amplesso e Afrodite colleziona una serie di appellativi che la connettono al mondo infero 3, tanto la mela assume su di sé tutta una serie di sfumature simboliche non solo erotiche e seduttive, ma anche pericolose e distruttive.
Nel primo caso suggerisce, con la sua forma, un seno o un ventre, che sembra abbia persino un ombelico. Nel secondo caso, diventa l’emblema della seduzione attrattiva e pericolosa. La mela è infatti simbolo di amore e sesso, ma anche di discordia. “Il melo, albero della conoscenza, può essere anche l’albero dell’accecamento, albero della vita, è anche albero di morte”.4
Non dimentichiamoci che la mela è la stessa pericolosa trappola mortale di Biancaneve!

La mela, frutto del peccato

Da pericolosa sex symbol nel mondo greco e romano, a tentatrice demoniaca per eccellenza nel mondo cristiano, il passo è breve: il serpente aveva offerto ad Eva esattamente una mela proibita, frutto dell’albero della conoscenza, facendo perdere così a lei e ad Adamo il primo posto nel podio delle preferenze di Dio.
Per il mondo cattolico, infatti, l’identificazione con la mela del frutto proibito del Paradiso è automatica.

Purtroppo la storia non è così semplice! (e ti pareva).
Il nostro pomo subisce uno sciagurato destino, anche a causa di un errore di traduzione.
Nel passo del Vecchio Testamento non si rivela l’identità del frutto proibito, che più probabilmente era un fico, ma per incredibili circostanze sembra così semplice identificarlo nella nostra adorata rossa:
«quando la Bibbia fu tradotta in latino, la parola malum contenuta in “albero del bene e del male”, che significa sia “male” sia “mela” (anche se la prima è mălum, la seconda è mālum) abbia indotto qualche copista antico nell’errore di preferire la seconda interpretazione alla prima, con le conseguenze che tutti sappiamo. Potrebbe essere accaduto nel Medioevo, quando i segni vocalici si affievolirono molto, così che malum venne a indicare indifferentemente sia “mela” sia “male”. Un’altra ipotesi è che quando, sempre nella versione latina, il serpente dice:”Eritis sicut Deus, scientes bonum et malum” (“Sarete come Dio, conoscendo il bene e il male”), la parola malum sia, per qualche motivo, retrocessa di quattro righe e si sia venuta a trovare nelle mani di Eva sotto forma di mela».5

E quanto piacque questo errore al Cristianesimo che combatteva, a suon di battage pubblicitari anteliltteram, la visione del mondo delle religioni precristiane. Non solo i Greci legavano il frutto alla discordia e al sesso, ma i Celti ne facevano il frutto per eccellenza del loro paradiso, Avalon, e base della loro bevanda sacra, il sidro.
Alla fine del IV secolo scoppiò il contrasto tra la Chiesa romana, nata dalla fusione tra il cristianesimo e le popolazioni dionisiache basate sul vino, e quella celtica dei popoli amanti del sidro. Tra odio e contrasti, i monaci celtici reputavano infetti gli utensili usati dagli ecclesiastici romani, rifiutandosi di mangiare e pregare insieme, mentre la Chiesa romana definiva eretici i loro riti.
Così, con la sua oscura malìa, la mela si trasforma da veicolo di conoscenza divina a infernale, da tramite per giungere alla saggezza di abal, il sole, a simbolo di lussuria e fascino volgare (e persino di malattie veneree), da mezzo magico positivo di Merlino a negativo. E come ogni cosa, quando diventa diabolica, in qualche modo diventa affascinante.

«L’identificazione era facile, il pomo aveva tutte le proprietà necessarie per dare il fianco. “L’iniziale dolcezza della mela era dunque un segno di seduzione, mentre il retrogusto acidulo indicava un influsso diabolico, poiché i sapori amari ricordano il veleno e tutti i veleni, si sa, sono opera del diavolo, almeno secondo i chierici medievali. (…) Il monaco tagliò due fettine sottili di mela e ne porse uno ciascuno a me e a George. “Vedete com’è rossa la buccia, come le labbra di una donna? E com’è bianca la polpa, come i suoi denti o la sua pelle?” E nel dire ciò ci invitò a mangiarla. Era saporita e croccante. Anche questo era visto come un segno del male, poiché la frutta, in genere, si ammorbidisce maturando. La mela, invece, acquista consistenza, il che era considerato dagli alchimisti come Vincent de Beauvais un fenomeno “contro natura”, un segno di grande diavoleria… a conferma della sua natura immorale, crudele e ingannevole. (…) Prese un’altra mela e la tagliò a metà, questa volta in senso orizzontale. “Vedete la stella?” domandò. Tagliata in quel modo, i semi, che prima assomigliavano a una vagina, ora li spiegavano alle masse ignoranti. Il colore allettante della mela, il suo gusto ambiguo, il torsolo così provocatoriamente femminile e, soprattutto, il pentacolo nascosto, erano tutti segni atti a dimostrare che si trattava proprio del frutto cresciuto sull’albero della conoscenza proibita».6

“Adamo era semplicemente un essere umano, e questo spiega tutto. Non voleva la mela per amore della mela. La voleva soltanto perché era proibita. Lo sbaglio fu di non proibirgli il serpente; perché allora avrebbe mangiato il serpente”.
(Mark Twain)

Bibliografia:
“La vita Segreta dei semi” di Jonathan Silvertown (Bollati Boringhieri, 2014)
“Mitologia degli alberi” di Brosse Jacques (BUR saggi 2015)
“I miti greci” Robert Graves (Longanesi,  edizione digitale 2014)
“Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante” Alfredo Cattabiani (Oscar Mondadori, 2016)
“Nel giardino del diavolo: Storia lussuriosa dei cibi proibiti” Stewart Lee Allen (Feltrinelli, 2005)
“Il linguaggio della dea” di Marija Gimbutas, (Le civette di Venexia, 2015)
“Il grande libro delle piante magiche” di Laura Rangoni (Xenia . Grandi economici, 2005)
focus.it

Note:
1 ” La vita segreta dei semi”, posizioni nel Kindle 1562-1564;
2 “Mitologia degli alberi”, pag. 225;
3 “Come signora della Morte e della Vita, Afrodite ebbe molti appellativi che paiono contrastare con la sua fama di dea bella e compiacente. Ad Atene essa fu detta la maggiore delle Moire e sorella delle Erinni; e altrove Melenide («la nera»), un nome che Pausania tenta di spiegare ingegnosamente dicendo che l’amore si fa per lo più di notte col favore dell’oscurità; Scotia («l’oscura»), Androfone («omicida») e anche, secondo Plutarco, Epitimbria («delle tombe»)” da “I miti greci”;
4 “Mitologia degli alberi”, pag 250;
5 “111 errori di traduzione che hanno cambiato il mondo”
6 ” Nel giardino del diavolo: Storia lussuriosa dei cibi proibiti”

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