Natura sensitiva e l’Antropocene

Testo di Eleonora Diana

Puntata 1

“Gli esseri umani stanno conducendo un esperimento geofisico su larga scala, un esperimento impossibile nel passato e non riproducibile nel futuro. In pochi secoli stiamo restituendo all’atmosfera e agli oceani il biossido di carbonio organico concentrato che si era accumulato nelle rocce sedimentarie del pianeta in centinaia di milioni di anni”.
(Revelle e Suess)

A quanto pare ci troviamo in un nuovo momento della storia della Terra e della nostra stessa specie: siamo ormai nell’Antropocene.
Forse, come sempre accade quando si vive un processo di cambiamento, non tutti ce ne siamo resi conto fino in fondo, ma se ci pensiamo bene… è successo qualcosa di unico, forse irreversibile: l’uomo con le sue azioni e interazioni modifica il corso della Natura, fino al punto in cui lo stesso statuto concettuale di “natura” cambia.

Che cos’è e quando è nato l’Antropocene?

In “Vita Activa. La condizione umana”, parlando del lancio dello Sputnik, la filosofa tedesca naturalizzata statunitense, Hannah Arendt, definiva la conquista sovietica dello spazio non in termini entusiastici, ma come punto di conclusione di un’epoca. L’uomo stava abbandonando il luogo che, per una serie di fortuiti casi, gli era stato “donato”: la Terra. Così, questa necessità di conquista di altri territori al di fuori dal nostro primigenio, era l’incipit di un nuovo capitolo dell’umanità, segnato dal senso di “alienazione della Terra”.

Questo concetto espresso dalla Arendt è la base concettuale dell’Antropocene, ovvero un nuovo momento storico di conquista dello Spazio e modifica del pianeta a nostro piacimento.
Il termine, definibile sia dal punto di vista delle scienze naturali, sia di quelle sociali e umane, comparve per la prima volta negli anni ’80, coniato dal biologo Eugene F. Stoermer, utilizzato poi in un famoso articolo di John Vitousek, in cui si dichiarò apertamente che ormai il pianeta, parlando del loro impatto sulla Terra, era dominato dagli esseri umani.
Infine fece breccia nel mondo intellettuale quando il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, durante una conferenza dell’International Geosphere – Biosphere Programme del 2000, dichiarò a tutta voce “No! Non siamo più nell’Olocene, bensì nell’Antropocene!”.
Due anni dopo, sulla rivista Nature, diede forma, insieme a Stoermer, all’idea che l’era geologica del nostro tempo era cambiata.

Le scienze naturali

“Una nuova epoca della storia naturale del nostro pianeta, caratterizzata da un salto di quantità e qualità nell’impatto della specie umana sulla Terra considerata complessivamente come sistema”.

Per la Geologia:
nuovo momento nella storia del pianeta, da aggiungere alla scala temporale che tutti abbiamo studiato e che si suddivide in eoni, ere, periodi, epoche ed età. L’Olocene ha visto il vivere dell’Homo sapiens, ora gli succederebbe l’Homo petroleum.
Sarebbe dunque una “una rivoluzione geologica originata dagli esseri umani”: prima volta nella storia, non solo dell’uomo ma del Pianeta stesso, un essere vivente è stato capace di modificare le leggi della Terra, da sempre considerate come immutabili. 
Da questo punto di vista, l’Antropocene rimane solo una proposta, in quanto in Geologia sono gli strati  di roccia della crosta terrestre a rappresentare prove ed evidenze. Bisognerà aspettare numerosi anni perchè queste possano considerarsi conclusive.

Per la climatologia, l’ecologia, la geochimica, la chimica, l’oceanografia, ovvero le scienze che studiano la Terra come un sistema, dal nucleo all’atmosfera, attraversato da un flusso continuo di energia e materia:
cambiamento rapido e globale, come mai prima, dell’equilibrio del sistema Terra, innescato dalla nostra specie.
Evidenti sono le prove: l’innalzamento dei livelli del mare, gli spostamenti di vari sedimenti su larga scala, i tassi più rapidi e maggiori di estinzione delle specie. Abbiamo innescato un processo irreversibile che sta portando a una modifica strutturale del funzionamento del pianeta.

Le scienze sociali e umane

Per le scienze sociali e umane:
il momento in cui gli esseri umani si riscoprono “una forza geofisica, una forza tellurica, per così dire. L’umanità può mutare il funzionamento della Terra proprio come le eruzioni vulcaniche, i movimenti dei continenti, i cicli dell’attività solare o i movimenti orbitali del pianeta attorno al Sole”.
Cambia automaticamente il concetto di “natura” stessa: essa non è più lo sfondo, inflessibile e immutabile, delle attività e dell’evoluzione umana, ma un tutt’uno di interagenti con la storia e le scelte dell’uomo.

Prima
La storia umana è sempre stata il luogo della volontà, dell’intenzionalità, dell’etica, della politica. La natura, frutto di una costruzione storica e umana, è sempre stata concepita come qualcosa al di fuori della nostra specie, un dato di fatto. A volte mossa dalla volontà di qualcosa di extra-umano, ad esempio nelle religioni del Libro, a volte come un insieme di forze impersonali e involontarie, ovvero la Rivoluzione Scientifica.
Ora
Con l’Antropocene l’intenzionalità umana si classifica a pari merito con tutti quei fenomeni non intenzionali che nella nostra forma mentis sono stati considerati fino ad ora gli unici capaci di far evolvere i meccanismi terrestri. Ora esiste una sola storia, in cui forze umane e naturali si uniscono.
Per pensare e relazionarsi a un mondo così modificato, è necessario che cambi anche il nostro modo di pensare la natura.

“L’antropocene è una svolta culturale. (…) nell’Antropocene storia, geografia e geologia si fondono: le discipline umanistiche e le scienze naturali si riuniscono dopo due secoli di separazione”.

Non c’è stato nessun adattamento biologico, nè trasmissione di specie, per essere pronti a questo mutamento geofisico e nuova condizione umana.

Che cosa succede ora?
Alla prossima puntata.

Fonte:
“Nell’Antropocene. Etica e politica alla fine di un mondo”. Gianfranco Pellegrino, Marcello di Paola

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