Viaggio con paesaggio tra distese d’acqua e di sabbia

Testo di Paola Fasana

Con un volume di circa 1.390 milioni di chilometri cubi di acqua, la Terra è decisamente la “biglia blu” (così definita dall’equipaggio dell’Apollo 17 nel 1972). Distese interminabili di laghi, fiumi e soprattutto mari fanno del nostro pianeta un paesaggio acquatico con opportunità e sfide. Tra queste, orientarsi è sempre stata tra le più grandi per chi, in tempi passati e non, decideva di avventurarsi alla scoperta di terre lontane.

I metodi usati nei secoli per orientarsi in acqua sono innumerevoli: dai corvi ammaestrati dai vichinghi per cercare la terra ferma più vicina, alle tavole su cui si proiettava l’ombra del sole e si ricostruiva la volta celeste: da sempre, la mappa naturale per eccellenza.

Saper leggere l’acqua


Le stelle, però, non sono le uniche alleate. C’è un modo, sicuramente più complicato ma infinitamente più poetico: “leggere l’acqua” e lasciare che sia proprio lei a guidarci e indicare la direzione.

Si tratta dello studio delle onde, della loro propagazione e delle correnti.
Navigando, ad esempio, nei pressi di una costa con rocce a picco sul mare, è possibile osservare almeno due tipi di onde: una che arriva dall’oceano e l’altra che proviene dalla costa, riflesso di quelle che si infrangono sulle rocce. Le onde indicano quindi la presenza di terraferma.

È importante sapere che oltre alle coste, anche i fondali giocano un ruolo determinante nella vita delle onde. Se il pendio dei fondali è ripido, le onde si rompono e frangono brutalmente, dando vita a movimenti bruschi. Se il pendio è dolce, l’energia delle onde si dissipa progressivamente, generando moti ondosi più gentili.

Mau Piailug, uno dei più grandi navigatori della storia, con la semplice osservazione delle onde aveva imparato a identificarne fino a cinque tipi ed era in grado di intuire dove si fossero formate tempeste, da quanto tempo e quale fosse la loro forza. Una connessione salvavita con l’ambiente che lo circondava.

Un oceano di sabbia


Esistono però altri tipi di onde che popolano un “mare” fatto di sabbia e non di acqua. Sono le dune, che parlano ad alcuni e confondono altri.

In questi paesaggi marziani (per noi) sembra impossibile orientarsi: non esiste alcun punto di riferimento, neppure un indizio. Eppure, in un ambiente apparentemente così ostile, c’è chi ha imparato ad ascoltare ed osservare.
I nomadi del deserto, ad esempio, sfruttano l’ombra proiettata dalle orecchie dei cammelli per ricercare una direzione, oppure, metodo più frequente, imparano i canti dei venti e osservano i disegni che sono soliti disegnare sulla sabbia.
Unendo la conoscenza della direzione dell’aria e della sua forza, insieme a quella della sabbia e della sua danza, riescono a ricavare l’angolo di attraversamento da seguire per giungere alla destinazione desiderata.

In questi luoghi viene spontaneo instaurare un approccio spirituale, una connessione profonda con la “voce del deserto”. Le dune non sono solo creste di sabbia modellate dal vento (o dall’acqua, nei fondali marini), ci sono diversi studi che ne indagano l’interazione. Si è osservato come i flussi di aria o acqua che investono un sistema di dune ne influenzino la comunicazione: il movimento della duna anteriore influenza e modifica quello della duna posteriore. E poi il canto delle dune, generato dallo spostamento dei granelli (e modulato dalla loro grandezza), che indica il tipo di sabbia e lo spostamento del vento.

Tanti sono gli indizi che possono raggiungere le nostre orecchie ed essere davanti ai nostri occhi: la natura e il paesaggio parlano e si mostrano a noi. È vitale saperli Ascoltare e Vedere.

Fonti:
giornaledellavela.com
meteolive.it
kaspersky.it
esquire.com
queriniana.it
focustech.it

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